Buon compleanno Eugenio Corti. E perdona la critica, se puoi

Eugenio Corti

Eugenio Corti

Lo scrittore ha compiuto 90 anni. Ma l’establishment culturale ancora lo ignora Le sue colpe? E’ stato anticomunista, è cattolico e ha creato un capolavoro del Novecento’900

In questi giorni ha com­piuto novant’anni uno dei personaggi più gran­di e m­isteriosi della lette­ratura italiana dell’ulti­mo mezzo secolo: Euge­nio Corti. Sono diverse, in Ita­lia, e specialmente in letteratu­ra, le figure difficili da catturare secondo i parametri storico-let­terari vigenti – le figure, voglio dire, di cui si riconosce il valore, questo sì, ma per aggiungere pe­rò, subito dopo, che sono «di dif­ficile collocazione», come se il problema fosse quello di collo­carli, di prender loro le misure: cosa che si fa, solitamente, quando si deve fabbricare una bara.

Ma il caso di Eugenio Corti è comunque il più emblematico di tutti, perché Eugenio Corti ha commesso l’errore più im­perdonabile: quello di avere scritto il capolavoro che tutti i letterati italiani aspettavano. Chi scriverà il capolavoro?, si domandavano spesso i critici, fi­no a qualche tempo fa, ma in­tanto ciascuno faceva dentro di sé tre o quattro nomi dei papabi­­li, perché è bello attendersi sor­prese, ma fino a un certo punto. La nostra cultura si presenta affetta da una strana malattia: quella delle cose fatte sempre «fino a un certo punto». Provo­cazione, genio, spregiudicatez­za, abnormità: tutto va bene, ma a patto di emanare un certo profumo, di stare dalla parte giusta, di essere bellino. Pecca­to che spesso il genio sia brutto, cattivo e anche puzzolente: o ri­pugnante. Impresentabile. Gof­fo. Non dico sempre, ma a volte sì, altroché.

Eugenio Corti ha accumulato una bella filza di peccati morta­li. Tanto per cominciare è catto­lico, poi è sempre stato antico­munista ( una cosa, questa, che, ho notato, irrita spesso più gli ex­comunisti o gli ex-sedicenti co­munisti che non i comunisti ve­ri). In terzo luogo, ha usato cat­tolicesimo e anticomunismo per scrivere un capolavoro im­mortale, Il cavallo rosso , appar­so nel 1983, al quale la critica ha reagito girandosi dall’altra par­te, facendo finta di non aver sen­­tito, capito, visto.

C’è anche il fatto che Corti è un narratore puro, uno cioè che racconta i fatti, presentando la realtà degli uomini e delle cose con rispetto, attenzione e amo­re, senza mai spaventarsi di fronte alla loro complessità, or­ganizzando a questo scopo una macchina narrativa potente e molto raffinata. Non è mai pre­occupato di mostrare al mondo quanto è intelligente, perché tutta la sua intelligenza si consu­ma nello­sforzo di far vivere per­sonaggi e oggetti (perché in nar­r­ativa anche i sassi devono esse­re pieni di vita).

Le sue pietre di paragone non sono Don DeLillo o Ian McEwan, ma Omero e Tolstoj, e l’accusa che qualcuno gli muo­ve (quando si degna di parlare di lui) che la sua letteratura è vecchia, che oggi non si scrive più così, gli fa lo stesso effetto che doveva fare su Tolstoj, o su Omero.

Vi basti leggere, in proposito, l’incipit maestoso del Cavallo Rosso per capire di che si tratta. Due uomini, un padre e un fi­glio, falciano un campo d’erba: lo scrittore li segue paziente­mente, con rispetto, segue il ca­vallo legato che bruca i ramo­scelli degli alberi, segue i gesti dei due uomini mentre affilano le loro falci. Sono due persone buone. Nubi si addensano al­l’orizzonte, lo scrittore ce le fa vedere quasi senza parlarne: ma ci sono. Il grande scrittore ti fa vedere anche le cose che non nomina, ma che sono lì, presen­ti, mute ma reali. Ma nella sce­na di questa mietitura circola anche un’aria di cose ultime,co­me se questi due uomini fosse­ro un’immagine passeggera ­ma reale – del Padre e del Figlio che, un giorno, mieteranno an­che ciò che non hanno semina­to. Cioè la storia.

Ma, per tornare a noi, può an­che darsi che il peccato d’origi­ne sia di tipo editoriale, ossia il fatto che nessuno degli editori del giro che conta pubblica Cor­ti, bensì un editore piccolo e ma­ledettamente schierato come Ares, parrocchia Opus Dei, di­retta da un altro ragazzo terribi­le, Cesare Cavalleri, il genio del­la stroncatura. Tutta gente po­co presentabile. Per fortuna ce n’è qualcuno, in questo mondo di belli biondi e palestrati.

C’è, insomma, di che riflette­re sui complicati meccanismi di rimozione che muovono la nostra cultura. In qualche mo­do – spero di non attirare le ma­ledizioni del Grande Vecchio ­esiste uno strano legame tra Corti e il suo esatto contrario, Roberto Saviano. Uno vecchio, l’altro giovane. Uno ha scritto un capolavoro ed è ignorato, l’altro non ha scritto nessun ca­polavoro ed è pluripremiato nei campi più diversi: dal cine­ma al teatro alla laurea honoris causa in Legge. Presto, sembra, gli assegneranno anche il Fifa World Player o la Coppa Davis. Eppure Eugenio Corti e Ro­berto Saviano appartengono ambedue a una vicenda di rimo­zione curiosa e singolare. Que­sto affrettarsi a dare a Saviano tutti i premi possibili, com’è si­mile al silenzio imbarazzato che circonda Corti! Quanto ma­­lessere si respira in tutti e due i casi!

Ogni cultura ha i suoi divieti, i suoi tabù, i suoi codici da tra­sgredire, ma le rimozioni di quella italiana sono tali da farle rischiare l’immobilità assoluta. Oggi molti sono convinti che non ci sia più nulla da trasgredi­re, ma così dicendo mentono sa­pendo di mentire: il nostro è un Paese totalmente immerso- dal punto di vista culturale – in un terrore di cui non vuole ammet­tere l’esistenza. La paura si leg­ge in tutte le sue manifestazio­ni, dai festival ai premi, dai film agli spettacoli che vanno per la maggiore. La paura del presen­te, del futuro, il sospetto di non saper far fronte agli eventi che verranno, di non avere una posi­zione forte di fronte a nulla…

E non si dica che è colpa delle tendenze del mercato. Oggi lo diciamo per giustificare il fatto che non siamo più nemmeno capaci di attendere il capolavo­ro, ma è una scusa, perché tutti sappiamo che il mercato è gros­solano: non è un buongustaio e mangia sempre quello che gli si dà da mangiare.

(Luca Doninelli, 26/01/11, Il Giornale)

3 Risposte

  1. Natale Carniti ha detto:

    Un grazie a Luca Doninelli che ha scritto di Eugenio Corti quanto anch’io ho sempre pensato senza essere capace di dirlo così bene. Sono sicuro, comunque, che Eugenio Corti ha la forza di perdonare la critica anche perchè sa che i suoi lettori di oggi e di domani lo riconoscono e lo riconosceranno grande come uomo, come cristiano e come narratore avvincente.Natale Carniti

  2. massimo tansini ha detto:

    potrebbe farmi evere l’indirizzo di eugenio corti ?
    vorrei scrivergli.
    grazie

  1. 30 Gennaio 2011

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